Il 28 settembre 2016, la Missione Permanente di Grecia alle Nazioni Unite
di Ginevra, ha organizzato un evento parallelo di alto livello intitolato: “ Lo Sport e i valori dell’educazione come strumenti
per promuovere l’integrazione locale e rafforzare la protezione dei diritti
umani dei rifugiati e migranti .”
IL panel si è focalizzato sul tema dello sport e come questo possa essere
un incentivo per i rifugiati
e i migranti per integrarsi al meglio all’interno delle comunità di
accoglienza.
Per i bambini e
i giovani che emigrano, lo sport puo’ essere un’opportunità per riportare quel
senso di normalità nelle loro vite, ormai instabili e incerte e ridotte ad un senso
di marginalità.
Molte
organizzazioni internazionali tra cui il Consiglio dei Diritti Umani, l’Organizzazione
Internazionale per le Migrazioni e il Comitato Olimpico Internazionale, hanno pensato
allo sport come mezzo per aiutare i giovani migranti a:
-una maggiore
integrazione nelle comunità ospitanti;
-favorire la
fiducia tra le comunità nei confini;
-la
riabilitazione dei giovani in vari ambiti;
-creare “posti
sicuri” per giocare nei luoghi ad alta densità di migranti.
L’obiettivo di
questo programma è di sviluppare la potenzialità della gioventù nel miglior
modo possibile e provvedere a migliorare le capacità e sopratutto mantenere
viva la loro speranza, valore importante per non cadere nella trappola
dell’estremismo violento .
Il presidente
del Comitato olimpico Thoma Bach e gli altri partecipanti al panel hanno lodato
la creazione della squadra olimpica dei rifugiati, novità nelle ultime
olimpiadi di Rio, e portatrice di nuova idea dell’immagine del “rifugiato”
davanti a tutto il mondo.
La sign.ra Tegla
Laroupe, rifugiata e campionessa olimpica, ha condiviso con il pubblico la
storia della sua vita, da quando ha iniziato a correre per andare a scuola.
In quegli anni
non sapeva che correndo “stava facendo sport”” : sapeva soltanto che voleva
correre per raggoungere la scuola, per far valere il suo diritto ad un educazione.
La signo.ra Rose
Lokonyen, rifugiata del Sud Sudan, ha raccontato di quando è dovuta fuggire da
giovane dal suo paese.
In quel periodo
incontro’ gli stessi problemi che ebbe la signora Laroupe, dato che prima non
era permesso alle ragazze fare sport e quindi correre era simbolo di una
necessità, come andare a scuola o scappare da una guerra.
Entrambe pero’
sono riuscite a compiere il loro desiderio di correre per sport, battaglia che
hanno voluto intrapredere per garantire il diritto a fare attività sportiva per
tutte le ragazze e donne in Africa.
Il vice
rappresentante per l’Alto Commissario per i diritti umani Kate Gilmore, ha
sottolineato l’importanza dello sport come patrimonio unico e come attività che
incoraggia i giovani ad avere interessi, credenze, passioni e un obiettivo comune
da raggiungere insieme.
Oltre a ciò, ha
riconosciuto quanto sia difficile oggi per gli stati costruire quel sistema per
ricevere, integrare e accogliere i migranti e i rifugiati, ma come nel contempo
sia arduo difendere e stare vicino ai piu vulnerabili.
Kate Gilmore ha voluto
terminare il discorso ricordando come le regole dello sport e i suoi valori
universali sono strettamnete connessi con quelli dei diritti umani.
Nel mondo dello
sport ognuno compete con le stesse regole e i partecipanti gareggiano sulla
base del merito e del talento: niente oltre queste regole è da considerare un
obbligo e la stessa cosa dovrebbe valere per i diritti umani.
L’Alto Commissario
per i Rifugiati Filippo Grandi ha terminato l’evento celebrando i successi
della squadra olimpica dei rifugiati e garantendo che la comunità
internazionale continuerà a promuovere lo sport come strumento non violento,
per far integrare i giovani che si trovano lontani dal proprio paese.
Come l’inviato
speciale delle Nazioni Unite Jacques Rogge ha tenuto a precisare, “lo sport puo’
portare dignità per i giovani” che hanno il “diritto a fare sport “e
semplicemente il “diritto a giocare” ed essere felici.
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