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lunedì 3 ottobre 2011

La Palestina come Stato Membro dell’ONU?

La richiesta presentata dalla Palestina per divenire Stato Membro delle Nazioni Unite ha monopolizzato l’attenzione della comunità internazionale e dell’opinione pubblica negli ultimi giorni. E’ chiaro che la decisione del Presidente palestinese di avanzare tale richiesta non rappresenta che una parte della sua più ampia strategia volta ad ottenere il riconoscimento internazionale dell’esistenza dello Stato palestinese. Ora, va detto chiaramente che il riconoscimento da parte di altri Stati non è un elemento costitutivo necessario alla creazione di uno Stato secondo il diritto internazionale.
 D’altro canto, é pur vero che l’accettazione da parte della comunità internazionale consente ad uno Stato di esercitare pienamente la propria sovranità anche nelle sue relazioni esterne. Inoltre, è ormai ampiamente riconosciuto che il caso israelo-palestinese costituisce una situazione sui generis da diversi punti di vista.  
Attualmente la Palestina rappresentata sin dal 1974 dall’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), dispone dello stato di osservatore presso le Nazioni Unite. La richiesta per diventare Stato Membro a tutti gli effetti é stata presentata il 23 settembre scorso al Segretario Generale Ban Ki-moon che l’ha successivamente inoltrata al Consiglio di Sicurezza. A sua volta, quest’ultimo ha rinviato la domanda al Comitato per l’ammissione dei nuovi membri affinché emetta il suo parere in merito alla candidatura.
Conformemente alla procedura, ogni richiesta per divenire Stato Membro dell’ONU deve essere esaminata dal Consiglio di Sicurezza, che decide se raccomandare o meno l’ammissione dello Stato richiedente all’Assemblea Generale (AG). In caso di decisione favorevole del Consiglio, la candidatura é trasmessa all’Assemblea Generale che procede al voto. Se la maggioranza di due terzi é raggiunta, l’AG adotta una risoluzione di accettazione della richiesta e lo Stato in questione assume lo status di Stato Membro.
Al momento il primo e più arduo stadio della procedura consiste nella decisione favorevole del Consiglio di Sicurezza per ottenere la quale é necessario che almeno 9 dei 15 membri votino in favore, e che i 5 membri permanenti si esprimano favorevolmente o si astengano dal voto.
Il potere di veto dei membri permanenti del Consiglio rappresenta il principale ostacolo alla candidatura della Palestina a causa della posizione assunta degli Stati Uniti che sono sempre stati il maggiore sostenitore (e l’ alleato più potente) di Israele. Nelle sue recenti dichiarazioni il presedente statunitense Barack Obama ha dichiarato che la candidatura di uno Stato palestinese come membro dell’ONU é prematura in quanto non costituisce la migliore soluzione per il conflitto israelo-palestinese. Pertanto é facile immaginare che gli Stati Uniti opporranno il proprio veto quando il Consiglio di Sicurezza si pronuncerà sulla vicenda.
Del resto, il governo americano non é il solo ad aver espresso delle critiche circa la richiesta palestinese. Lo stesso governo di Hamas si sarebbe lamentato del fatto che il Presidente Abbas abbia preso unilateralmente la decisione di presentare la candidatura, senza interpellare le forze politiche interne. In risposta, Hamas ha invece proposto una diversa strategia volta a stabilire nuovi e più forti legami con I paesi arabi affinché questi facciano pressione su Israele per mettere fine all’occupazione.
Tra i sostenitori della candidatura palestinese vi é, invece, Richard Falk, Rapporteur Speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati sin dal 1967. Il Rapporteur Speciale si é appellato a tutti gli Stati Membri dell’ONU affinché riconoscano la Palestina come uno Stato ed esortino Israele a dare ascolto ai bisogni della popolazioni palestinese.
Infatti non bisogna dimenticare che Israele esercitando un “controllo effettivo” su Cisgiordania (inclusa la zona Est di Gerusalemme) e la striscia di Gaza, riveste tuttora il ruolo di potenza occupante nell’area. Pertanto le azioni di Israele in questi territori sono regolate dal diritto umanitario (in particolare dalle disposizioni riguardanti l’occupazione) e dal diritto internazionale dei diritti umani, sebbene Israele si opponga alla posizione maggioritaria secondo cui entrambe le branche del diritto si applichino in periodo di conflitto armato.
 Nella sua funzione di potenza occupante Israele é responsabile del benessere della popolazione palestinese e della protezione dei civili durante lo svolgimento delle ostilità. Le sue azioni nei territori occupati sono anche soggette agli obblighi internazionali che incombono su Israele in virtù dei  diversi trattati internazionali sui diritti umani che ha ratificato e in virtù del diritto consuetudinario. Ora, le norme sull’occupazione fanno parte del diritto umanitario applicabile nel contesto di conflitti internazionali. La logica, oltre che il diritto internazionale, vuole che un conflitto internazionale sia tale in quanto ha luogo tra Stati. Dunque, ciò non porterebbe a concludere che uno Stato palestinese esista già? Sfortunatamente, anche questa si aggiunge alle incoerenze che caratterizzano il conflitto tra Israele e Palestina. Va in fine ricordato che in diritto umanitario il regime dell’occupazione è concepito come una condizione transitoria, che nel caso in esame si è protratto molto più del dovuto. Israele ha giustificato tale anomalia sulla base della continua minaccia rappresentata dalla prossimità di Hamas come organizzazione terroristica.
Ora, senza assumere alcuna posizione sul conflitto in quanto tale, possiamo affermare senza esitazione che il benessere sia del popolo palestinese che di quello israeliano dovrebbero guidare l’azione politica nazionale quanto internazionale. Un processo di pacificazione in Medio Oriente non può prescindere dall’assunzione reciproca di responsabilità. Il mondo é in attesa della fine di questo conflitto che ha causato fin troppe vittime.

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